fratellimiraglia

Tutto è cominciato quando…. già, quando è cominciato? Difficile a dirsi oggi, dopo tanti anni. Aneddoti e leggende si mischiano nella memoria fino a farci credere che quasi non vi sia stata un’origine. Eppure il principio di questa nostra stirpe di commedianti c’è di certo. Ci piace pensare che quando il mondo ha inventato gli zingari già c’era un Miraglia che faceva teatro.

La cosa più sicura però, è parlare dell’ultimo secolo, perché di questo periodo possiamo avere sia documenti sia testimonianze dirette. Infatti, è tra le ultime generazioni che abbiamo reperito le maggiori informazioni.

Pare che sul finire della prima guerra mondiale già ci fosse una Compagnia di Prosa dei F.lli Miraglia, o meglio, ve ne erano diverse con lo stesso nome poiché nostro nonno Davide aveva diversi fratelli e ognuno di essi gestiva una Compagnia. Stiamo parlando delle Compagnie “minime” o familiari, gli “scavalcamontagne”, formate da due o tre famiglie di comici ( noi ci chiamiamo così ) dove tutti gli elementi della famiglia erano coinvolti nell’attività e dove, in pratica, tutti erano “figli d’arte”.

In quel tempo si recitava nei teatri dei piccoli paesi che, come ancora oggi, erano parrocchiali, ma dato che non vi erano lauti guadagni, si recitava anche nelle sagre paesane, all’aperto o dove fosse comunque possibile o richiesto.

I testi scelti per le varie occasioni spaziavano dai grandi autori classici sino a qualche dilettante autore locale. Quest’ultima possibilità va sottolineata perché spesso era una buona fonte di sostentamento ( se l’autore era del paese anche l’incasso era assicurato).

Nel periodo tra le due guerre queste Compagnie “minime” avevano una grande importanza. Infatti, erano le uniche che si recavano anche nei piccoli centri e divulgavano l’opera letteraria dei grandi e dei piccoli autori ma, soprattutto, recitavano in italiano.

Durante la seconda guerra mondiale i comici se la passarono veramente male però ostinatamente continuarono il loro lavoro. E’ vero che molti in quel periodo, stanchi delle privazioni e spinti dalla fame, cambiarono lavoro e si improvvisarono operai e impiegati, ma la maggior parte resistette e i nomi di quelle famiglie sono ancora oggi nei cartelloni dei teatri italiani.

Spesso sbocciava l’amore tra gli elementi di due famiglie componenti la Compagnia e così avvenne che nostro padre, Dante, sposò Vera Matteucci e, da quell’unione, siamo nati noi tre, Giandavide, Gianumberto e Gianstefano.

Finita la guerra, con l’Italia a pezzi, senza una lira, Dante concepì l’ardito progetto di far costruire un teatro viaggiante, un padiglione in legno e tela che, come nel circo, veniva montato e smontato da tutta la Compagnia. Vuoi per la novità, vuoi per la curiosità, il pubblico sulle prime affluì numeroso agli spettacoli fatti nel Carro di Tespi, ma poi si stancò della novità, si fece pigro e preferì starsene a casa a trastullarsi col nuovo giocattolo, la televisione.

Proprio alla televisione si deve la fine delle Compagnie viaggianti. La novità non aveva rivali. Il pubblico si appassionò talmente alla nuova forma di spettacolo che dimenticò presto tutte le altre.

Per non cedere allo strapotere televisivo, Dante pensò che se i tempi cam-biavano, bisognava cambiare il modo di portare il teatro. Bisognava cominciare ad interessare al teatro quel pubblico che forse al teatro non aveva mai pensato, quel pubblico in via di formazione culturale che spesso era escluso dalle recite delle Compagnie “primarie” e cioè gli studenti. L’operazione non era priva di rischi. La scelta degli autori e dei testi doveva avvenire con un rigore cui non si era abituati però l’idea di far entrare il teatro nella scuola, come già avveniva in altri Paesi, era troppo affascinante per tirarsi indietro. Siamo negli anni sessanta, con pochi soldi e molti bastoni tra le ruote Dante trasforma la Compagnia “minima”, fatta solo da familiari, in una Compagnia “primaria”, formata solo da professionisti, con la caratteristica principale di portare spettacoli di quegli autori trattati nella maggior parte dei programmi scolastici.

Sono anni duri, di incomprensioni con le presidenze degli Istituti scolastici, ma anche di soddisfazioni enormi quando qualche lungimirante Provveditore agli Studi autorizzava le rappresentazioni nella sua Provincia e tali spettacoli consentivano al giovane pubblico di scoprire l’importanza didattica del teatro, importanza che, oggi come allora, viene esaltata nel dibattito tra Compagnia e studenti a fine spettacolo, instaurando un rapporto il cui valore pedagogico è al di sopra di ogni concetto.

Durante questo periodo, piano piano noi tre figli siamo cresciuti e, dopo il periodo degli studi, sempre piano piano ci siamo inseriti nell’attività paterna; prima come “manovali”, addetti al carico e scarico del materiale di scena e all’allestimento del palcoscenico, poi come interpreti di piccole parti e finalmente, ma sempre piano piano, a diventare strumenti di noi stessi e cioè attori.

Quanto tempo è passato! Quanti viaggi avventurosi, con carretti e mezzi di fortuna, per portare il teatro dappertutto! Oggi tutto è cambiato (e meno ma-le!),oggi possiamo portare spettacoli a tutto il pubblico, non solo a quello studentesco, servendoci delle ultime tecnologie per ciò che concerne luci e amplificazioni, ma sempre con lo stesso spirito di allora, quello spirito che non ci ha mai abbandonato e cioè: fare sì che il teatro serva al pubblico per confrontarsi con gli autori presentati, fare sì che sia un momento di analisi e di riflessione perché anche nella commedia più esilarante si nasconde la critica dell’autore al nostro modo di vivere, agli errori che inconsciamente (si spera) commettiamo, fare sì che anche attraverso la nostra modesta opera si arrivi domani a un mondo veramente migliore.

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